La Talassemia non ha ancora una terapia veramente efficace, anche se oggi i talassemici vivono una vita molto più normale rispetto a qualche decennio fa, grazie ai miglioramenti delle terapie che consentono al talassemico una vita pressoché normale.
È però indispensabile che la trasfusione venga assicurata a scadenze fisse (cosa non sempre possibile per le note carenze di sangue) e che i depositi di ferro, per effetto del sangue trasfuso, siano ridotti al minimo. In questi ultimi vent’anni si osserva che le prospettive di vita dei talassemici sono di gran lunga migliori rispetto al passato. Le condizioni da rispettare sono che attraverso l’assistenza specialistica vengano prevenuti i disturbi, per lo più legati all’accumulo di ferro nei principali organi.
Ieri un dottore per la talassemia era solito dire di “godersi il figlio finche poteva” oggi può tranquillamente dire di “continuarsi a curare bene”
Tuttavia grande speranza e fiducia è riposta nella ricerca, per lo sviluppo di soluzioni definitive per la guarigione dalla talassemia: ad oggi i risultati più incoraggianti vengono dal miglioramento delle tecniche di trapianto di midollo osseo e dalla ricerca nel campo della terapia genica. Le cure di cui andremo a parlare non sono vere e proprie rimedi per la Talassemia; infatti esse sono volte a limitare i danni provocati dall’accumulo di ferro negli organi e nei tessuti cagionato dalle frequenti trasfusioni di sangue, che va ricordato, sono alla base della sopravvivenza dei talassemici.
In realtà i pazienti talassemici trasfondono globuli rossi, l’elemento anormale nel loro sangue, e ciò aiuta a correggere l’anemia in modo da garantire l’afflusso di una normale quantità di ossigeno ai tessuti più importanti, primo tra tutti il cuore. La trasfusione permette inoltre al midollo osseo una pausa nella produzione di globuli rossi in gran quantità, permettendo un normale sviluppo delle ossa; uno degli elementi ricorrenti nei soggetti talassemici è infatti la deformazione del viso o l’arresto della crescita. La regolare somministrazione di trasfusioni riduce e previene l’anormale ingrossamento della milza (ipersplenismo), evitando quando possibile l’asportazione della stessa (splenectomia).
Le cellule che fanno i globuli rossi o gli eritrociti si chiamano cellule eritroidi progenitrici. L’eritropoiesi e’ il processo di formazione dei globuli rossi dalle cellule eritroidi progenitrici.
Nella talassemia questo processo e’ inefficace o fallimentare, cioe’ le cellule eritroidi progenitrici fanno un numero ridotto di globuli rossi. Sfortunatamente questo processo fallimentare e associato a due problemi: anemia (perche’ i globuli rossi non si formano), ma anche splenomegalia (o ingrossamento della milza) questo porta all’asporto della stessa, che, sfortunatamente e’ necessaria in quasi tutti i casi di talassemia.
Nella talassemia le cellule progenitrici dei globuli rossi aumentano in numero e invadono altri organi e causano la splenomegalia. Infatti, queste cellule non solo invadono la milza, ma si possono trovare anche nel fegato e in altri organi, (come delle metastasi).
Quando la milza s’ingrossa troppo (splenomegalia) l’unica opzione e’ la rimozione chirurgica della stessa. La milza grossa non solo e’ molto pericolosa (puo’ essere letale se si rompe), ma anche interferisce con le trasfusioni di sangue (assorbe il sangue trasfuso come una “spugna”). Piu’ la milza s’ingrossa, piu’ sangue e’ necessario amministrare ai pazienti per mantenerli in vita.
Senza milza si sopravvive anche se con molti problemi. La milza e’ fondamentalmente il “filtro” del nostro organismo. Molto spesso ci “pulisce” da batteri (infezioni) o cellule che possono portare a fenomeni trombotici (i.e. ictus/trombosi). Ovviamente senza la milza infezioni e fenomeni trombotici aumentano.
Recentemente si è scoperta parte del meccanismo che porta all’espansione della milza. Il processo coinvolge un gene che si chiama Jak2, che e’ molto “famoso” in quanto e’ coinvolto nella sindrome mielodisplastiche o MDS, che sono molto frequenti nella popolazione umana.
Per quanto riguarda i trapianti si effettua la terapia convenzionale nella maggior parte dei casi (81%) anche su pazienti adulti con dei buoni risultati, si sta procendendo sempre di più con il trapianto di cellule staminali (16%) ed infine la terapia genetica, dove si sta studiando la possibilità di fare dei geni in grado di far produrre emoglobina in maniera adeguata. Un discorso a parte per quanto riguarda i farmaci per l’induzione della sintesi Hb fetale, metodo utilizzato ancora poco (3%) per ridurre la frequenza di trasfusioni.
Il trapianto di midollo osseo è attualmente una strada percorribile per la guarigione definitiva dalla talassemia.
La condizione essenziale per la riuscita di un trapianto di midollo è la compatibilità assoluta con il donatore; questa è infatti la base per evitare il rigetto del corpo del ricevente. I donatori più probabili sono solitamente i fratelli del soggetto talassemico, e proprio questo ha limitato fortemente negli anni passati la possibilità di ricorrere a questa soluzione.
Ricerche mediche condotte negli ultimi anni hanno reso possibile anche il trapianto fra estranei compatibili.
Tuttavia il rischio di rigetto rimane alto a scapito dell’effettiva guarigione del talassemico, se non della sua stessa vita.
Va sottolineato che nella fascia di età compresa tra 1 e 16 anni, purché non ci si trovi in presenza dei così detti fattori di rischio, le percentuali di successo sono alte.
Dai 16 anni in su, in presenza di almeno un fattore di rischio, le percentuali di successo sono meno alte e possono attestarsi sotto l’80% se vi sono più fattori di rischio.
Globalmente dopo una valutazione di tutti i dati conosciuti a livello mondiale si può affermare (cfr. Prof.ssa Caterina Borgna) che mediamente i rischi per un trapianto di midollo sono elevati e si possono così riassumere:
67% di successo (guarigione)
13% di insuccesso (si può vivere con problemi legati al trapianto e si ritorna talassemici)
20% di decessi
La fase preparatoria al trapianto, ossia il condizionamento, é particolarmente stressante e pericolosa e comporta l’impiego di farmaci potenti, tossici, per la distruzione del midollo osseo del ricevente.
Le possibili malattie secondarie da trapianto (GVH) rendono critica la fase del post-trapianto e in alcuni casi impongono una difficile convivenza.
La scelta del trapianto deve essere attentamente valutata tra il medico, paziente e familiari lasciando a questi ultimi la decisione finale. Il trapianto di midollo osseo oggi é ormai una realtà.
Vi sono molte probabilità di guarigione, tuttavia alcuni seri rischi non vanno sottovalutati. Non tutti, però, possono farvi ricorso a causa della mancanza, nel 70% dei casi, del donatore identico e perché talvolta le condizioni di salute, a causa di più fattori di rischio presenti, non lo consentono.
Notevole importanza rappresenta l’adozione di nuove tecniche basate sull’utilizzo delle cellule contenute nel cordone ombelicale dei neonati, aprendo nuove strade a questo metodo di guarigione al quale speriamo di poterci presto affidare con piena fiducia.