Riscatto d’amore per Simona e Giuseppe contro l’anemia mediterranea
I primi pazienti a sottoporsi alla cura sperimentale del professor Locatelli dell’ospedale “Bambin Gesù” di Roma: «Siamo guariti e l’uno il punto di forza dell’altra»
Simona Annese e Giuseppe Selvarolo descrivono così il loro legame: la vittoria contro l’anemia mediterranea ha dato luce al loro amore. Non è stato subito colpo di fulmine, ma un sentimento maturato dalla reciproca e costante presenza nel corso delle loro vite.
Incrociano i loro sguardi per la prima volta da bambini, nei corridoi del Policlinico di Bari “Giovanni XXIII” al termine delle assidue trasfusioni di sangue necessarie per combattere l’anemia mediterranea che li accompagna d’appena nati.
Conosciuta anche come talassemia, l’anemia mediterranea, il cui nome deriva dalla propria diffusione nelle aree che si affacciano sul Mediterraneo, è una malattia ereditaria degenerativa che provoca la distruzione dei globuli rossi, una minore presenza di emoglobina e causa stanchezza.
Oggi, lei 20 anni di Molfetta e lui 27 di Andria, hanno scritto insieme la parola fine alla loro vita da talassemici, segnata dal sangue e dagli aghi e per questo diversa da quella di qualsiasi coetaneo.
Hanno ricominciato da zero insieme e innamorati.
«Soprattutto le nostre mamme sono state per tutti questi anni in contatto, condividendo tra di loro qualsiasi novità o documento di ipotetiche cure».
Infatti è proprio grazie alle continue ricerche dei loro genitori che Simona e Giuseppe si sottopongono, come primi di una lunga lista, ad una terapia genica sperimentata a livello internazionale. Si tratta di quella proposta dal professor Franco Locatelli del dipartimento di Oncoematologia dell’ospedale di Roma “Bambin Gesù”, l’unico centro italiano tra i sei di riferimento.
«Il professor Locatelli è stato la luce in fondo al tunnel», ricorda Simona a proposito del suo primo incontro con il professore. Una volta risultati positivi ai requisiti necessari per intraprendere la terapia, aderire alla cura non è stato semplice soprattutto per Simona. A preoccuparla le tipiche controindicazioni di qualsiasi trapianto.
Ma, seguendo i vari seminari di approfondimento e rassicurati dal professor Locatelli, non hanno più avuto timore di accettare la prassi terapeutica e il protocollo previsto per 15 anni.
Impazienti di cominciare a vivere per davvero, guariti e senza alcuna limitazione.
Non andare a scuola da piccoli era anche piacevole. Ma con la crescita nascono esigenze diverse: entrambi non potevano allontanarsi da casa per più di 15 giorni per i periodici controlli medici. Indispensabile è stata questa terapia, che ha segnato una svolta decisiva nelle loro vite e ha fatto assaporare quelle piccole libertà per loro non così tanto scontate.
Giuseppe ha eseguito il trapianto il 10 luglio del 2017 ed è stato dimesso a settembre, mentre Simona si è sottoposta il 23 ottobre 2017 ed è tornata a casa il 31 gennaio 2018.
Nonostante le varie complicanze e le ore che sembravano infinite trascorse in isolamento e lontani dai propri cari, hanno vinto la loro battaglia contro l’anemia uscendone con il cuore pieno d’amore.
«Essendosi sottoposto prima Giuseppe al trattamento – racconta Simona con gli occhi pieni di gioia – io cercavo in lui sicurezza e ho seguito ogni suo passo accumulando sempre più speranza. Vedevo che non sarebbe stato facile, ma avevo davanti a me la soluzione ad ogni mia paura. Il rimedio. Il mio progetto di vita futuro stava ricominciando a prendere forma».
A trattamento completato Giuseppe ha deciso spontaneamente di affiancare Simona nella sua guarigione e non lasciarla mai sola. Sapevano di condividere qualcosa che mai nessuno, eccetto ovviamente loro stessi, sarebbe stato capace di comprendere. «Così quelle prime ore trascorse insieme, mentre Giuseppe imbarazzato mi osservava sul mio letto d’ospedale, sono diventate qualcosa di molto di più e dall’11 febbraio 2018 siamo ufficialmente una coppia». Nei loro occhi una forte intesa e un amore che non ha bisogno di parlare.
«Passato il peggio – racconta Giuseppe – finalmente ho potuto rivelare ai miei amici il motivo delle mie frequenti assenze, di cui non erano a conoscenza: non volevo provassero pena o compassione e tantomeno essere trattato diversamente».
Non è facile pensare all’amore quando di fronte si ha “una montagna da scalare”, ma questa è la dimostrazione effettiva di come la gioia nasca dal superamento di un ostacolo: la voglia di essere felici allevia ogni medicina.
Giuseppe e Simona danno voce alla loro esperienza non per notorietà, ma affinché il loro percorso sia d’esempio per quanti vivono il dolore della malattia e hanno paura di rischiare. Una storia che vuole contagiare positivamente tanti talassemici e non solo.
I due ragazzi oggi vivono ad Andria felici la loro storia d’amore con il loro cane Kom, nome non casuale perché ad accomunarli una forte passione per la musica di Vasco Rossi di cui concerti condividono emozioni memorabili. Ed è proprio Vasco a cantare: «Voglio trovare un senso a questa vita (…)Sai che cosa penso che se non ha un senso domani arriverà lo stesso. Senti che bel vento non basta mai il tempo. Domani è un altro giorno, arriverà».
Simona Annese e Giuseppe Selvarolo descrivono così il loro legame: la vittoria contro l’anemia mediterranea ha dato luce al loro amore. Non è stato subito colpo di fulmine, ma un sentimento maturato dalla reciproca e costante presenza nel corso delle loro vite.